giovedì 16 settembre 2021

Se sembra impossibile, allora si può fare.

 


Se sembra impossibile, allora si può fare.

Così ha concluso la sua allocuzione davanti al Parlamento europeo la presidente della Commissione europea in occasione del suo discorso sullo stato dell’Unione ieri 15 settembre.

Una citazione da Bebe Vio, la schermitrice italiana, medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Tokyo, presente in aula, invitata a rendere testimonianza di quanto possano l’entusiasmo e la forza di volontà, ad essere modello ideale per i giovani europei e non solo per i giovani, ma per l’Europa tutta.

Questa la cifra del discorso tenuto da Ursula von der Leyen. Un discorso tutto volto alla ricerca di un’anima per l’Europa, quell’anima che Robert Schumann riteneva necessaria perché il cammino verso la sempre maggiore integrazione europea fosse instancabile e coerente.

L’occasione si prestava davvero e il momento attuale poteva sembrar consentire alla presidente qualche entusiasmo in più.

E la presidente non si è fatta scappare l’occasione. Celebrando una Europa capace di resistere all’attacco della pandemia da Covid 19, capace di superare la crisi economica dal 2008 in poi, capace insomma di fare e, soprattutto, di essere.

Tanto che, sull’onda di questo entusiasmo, e ricordando probabilmente di essere stata la prima donna tedesca a ricoprire la carica di ministro della difesa, la von der Leyen si è lanciata ad ipotizzare una Unione europea della difesa, argomentando in maniera convincente a favore della necessità.

Scelta coraggiosa, ma carica di rischi. Dato che il tema della difesa comune è sempre stato all’ordine del giorno dell’agenda europea, e sempre è stato occasione di divisioni e polemiche.

Ma ciò non vuol dire certo che non si possa riproporre il tema.

Solo che, però, l’impressione generale però rimane quella di un discorso di doveroso incoraggiamento, di un appello ad un entusiasmo che in verità sembra non esserci, di un passaggio necessario, ma non si sa bene verso che cosa.

Forse, del resto, era questo e null’altro, quel che ci si poteva attendere. Archiviamolo e andiamo avanti.

giovedì 1 luglio 2021

La legge 91 del 14 giugno 2021. Finalmente una Zona Economica Esclusiva italiana?

 

Con la legge n. 91 del 14 giugno 2021 l’Italia ha deciso di dotarsi di una Zona Economica Esclusiva.

La Zona Economica Esclusiva è, come si sa, un'area adiacente al mare territoriale, estesa fino a 200 miglia dalla linea di base, nella quale lo Stato costiero esercita particolari poteri per finalità essenzialmente economiche. Essa viene definita nella Parte V (artt. 55-75) della Convenzione di Montego Bay del 1982.

 Venendo alla configurazione del regime dei poteri in quest'area, occorre concludere che in essa si configura un regime sui generis, caratterizzato dalla coesistenza di alcuni specifici poteri dello Stato costiero volti allo sfruttamento economico delle risorse dell'area e delle libertà a vantaggio degli altri Stati tipiche dell'alto mare.

 È ormai certo che essa non esiste ipso jure, quale automatica e diretta pertinenza della sovranità territoriale (a somiglianza di quel che accade per il mare territoriale), ma che invece lo Stato costiero deve procedere a una esplicita proclamazione volta alla sua istituzione, cosa che appunto l’Italia fa con questa legge.

Secondo la Convenzione del 1982, lo Stato costiero esercita sulla Zona ampi ma circoscritti poteri così qualificati:

(1) diritti sovrani all'esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, viventi o non, delle acque e del fondo e sottosuolo marino, nonché ad altre attività di sfruttamento economico, quali la protezione di energia dalle acque, dalle correnti e dai venti;

(2) "jurisdiction" sull'insediamento e uso di isole artificiali, installazioni e strutture, ricerca scientifica e la protezione e preservazione dell'ambiente marino;

(3) altri diritti e obblighi previsti dalla Convenzione (art.56).

Una parola di commento merita il fatto che l’Italia giunga solo adesso alla istituzione della Zona Economica Esclusiva.

Fin qui, il nostro Paese aveva scelto infatti, come altri Stati mediterranei, la via della istituzione di zone tematiche, istituendo ad esempio con la legge 8 febbraio 2006 n. 61, zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale, quale ad esempio quella del Mediterraneo nord occidentale, del Mar Ligure e del Mar Tirreno, istituita con il DPR 27 ottobre 2011 n. 209.

Ma le cose sono cambiate recentemente e diversi Stati che si affacciano sul Mediterraneo hanno già da tempo istituito Zone Economiche Esclusive, anche se con non pochi problemi, visto che il Mediterraneo non è un oceano e dunque, a contare 200 miglia marine dalle proprie coste si finisce inevitabilmente con l’affacciarsi in prossimità delle coste di qualche altro Stato.

In questo senso si sono orientati alcuni Stati contigui o frontisti dell'Italia e segnatamente la Croazia nel 2003, la Francia, che nel 2012 ha trasformato in ZEE la sua zona di protezione ecologica, la Spagna che nel 2013 ha trasformato in ZEE la zona di protezione della pesca, la Tunisia nel 2005, la Libia, che nel 2009 ha trasformato in ZEE la precedente Zona di protezione della pesca.

Un caso a parte è rappresentato dall'Algeria che nel 2018 ha istituito una ZEE, senza alcun accordo con gli Stati frontisti e confinanti, un'area che si sovrappone, ad ovest della Sardegna, alla zona di protezione ecologica (ZPE) istituita dal nostro Paese nel 2011 e con l'analoga ZEE istituita dalla Spagna nel 2013. L'Italia ha contestato la legittimità del provvedimento algerino e negoziati sono in corso per la soluzione del contenzioso.

 Ciò ha indotto anche l'Italia a scegliere la strada della istituzione della Zona Economica Esclusiva.

Misura che si spera possa preludere a una politica italiana più attiva a difesa dei propri non pochi interessi nell’area del Mediterraneo.

martedì 20 aprile 2021

Riparte la Conferenza sul futuro dell'Europa. Una occasione imperdibile!

 

Ieri ho partecipato a un interessante confronto online promosso dalla Fondazione PER “Progresso, Europa, Riforme” in occasione della presentazione ufficiale della piattaforma digitale per lo svolgimento della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Da quando, lo scorso 10 marzo, i presidenti della Commissione europea, del Parlamento europeo e del Consiglio hanno firmato una «Dichiarazione comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa», il sistema sembra essersi rimesso in moto e la data del 9 maggio prossimo come data di apertura ufficiale della Conferenza sembra ormai certa.

La proposta di una Conferenza sul futuro dell’Europa venne lanciata, come si sa, dal Presidente Macron nella primavera del 2019 e fu entusiasticamente adottata dalla Presidentessa della Commissione von der Leyen, che ne propose pure un’agenda e un calendario con inizio il 9 maggio 2020, a celebrazione simbolica dei settant’anni della dichiarazione Schuman.

Poi fu il COVID, la pandemia e il lockdown e della Conferenza si perse ogni traccia.

Così la Dichiarazione comune del 10 marzo rappresenta una buona notizia perché rimette in moto il processo, peraltro in un contesto che appare complicato, a tacer d’altro, dalla pandemia che non si arresta, dalla crisi economica ormai dilagante, dalla Brexit ancora tutta da capire nelle sue conseguenze, dalle costanti iniziative eversive dei sovranisti (che non rinunciano a considerare l’Unione semplicemente un bancomat e non una comunità di valori).

Ma la Dichiarazione è una buona notizia, anche perché, quantomeno, configura un armistizio tra le tre istituzioni, in conflitto fra di loro per la conduzione dei lavori della Conferenza. 

Conflitto che sembra appianato, come si evince dalla Dichiarazione stessa che, in un passaggio che val la pena di citare per intero, ne descrive l’articolato (e complicato) meccanismo di governance. Si dice infatti che:

«La conferenza sarà posta sotto l'egida delle tre istituzioni, rappresentate dal presidente del Parlamento europeo, dal presidente del Consiglio e dalla presidente della Commissione europea, che svolgeranno le funzioni di presidenza congiunta.

Una struttura di governance snella contribuirà a guidare la conferenza; garantirà una rappresentanza paritaria delle tre istituzioni europee e sarà equilibrata sotto il profilo del genere, in tutte le sue componenti.

Sarà istituito un comitato esecutivo, composto da una rappresentanza paritaria del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea, con tre rappresentanti e un massimo di quattro osservatori per ciascuna istituzione. La troika presidenziale della COSAC (la Conferenza degli Organi Specializzati negli Affari Comunitari dei Parlamenti nazionali n.d.r.) parteciperà in qualità di osservatore. Anche il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale possono essere invitati in qualità di osservatori, come pure, se del caso, rappresentanti di altri organismi dell'UE e delle parti sociali.

Il comitato esecutivo sarà copresieduto dalle tre istituzioni e riferirà periodicamente alla presidenza congiunta. Il comitato esecutivo sarà responsabile dell'adozione per consenso delle decisioni connesse ai lavori della conferenza e ai suoi processi ed eventi, nonché della supervisione della conferenza nel corso del suo svolgimento e della preparazione delle sessioni plenarie della conferenza, compresi i contributi dei cittadini e il loro seguito».

È difficile al momento prevedere cosa la Conferenza potrà realizzare. Ed in particolare, è difficile dire se essa si ridurrà alla ennesima consultazione dei cittadini o se potrà essere una storica occasione costituente.

Certo, visto il precedente inglorioso del 2002 che portò al progetto di una Costituzione europea del 2004, poi sconfessata, converrebbe evitare di professare ambizioni costituenti.

Ma vorremmo, come si dice, gettare comunque il cuore oltre l’ostacolo e indicare alcuni passaggi, di fatto costituenti, sui quali occorrerà comunque impegnarsi.

Il primo è un riequilibrio degli assetti istituzionali dell’Unione, oggi troppo sbilanciati a favore della componente intergovernativa e delle mediazioni in seno al Consiglio europeo, con il Consiglio invece spesso in difficoltà con le complicate maggioranze e la necessità in molti (troppi) casi della unanimità.

La soluzione è una sola ed è quella della generalizzazione del voto a maggioranza qualificata dovunque e comunque. Non ci si riuscì nel 2002, bisogna riprovarci a tutti i costi, come oggi usa dire.

Il secondo è un riassetto complessivo dei meccanismi di governance dell’Unione, aprendo spazi inediti al coinvolgimento delle rappresentanze degli enti regionali e locali e del mondo produttivo, relegate nell’attuale modello di governance a un ruolo da comprimari dalla competenza semplicemente consultiva del Comitato delle Regioni e del Comitato Economico e Sociale.

Invece, essi rappresenterebbero, se adeguatamente valorizzati, la possibilità di un originale e innovativo modello istituzionale europeo, basato sull’apporto non più solo della rappresentanza politica generale attraverso il Parlamento europeo (certo importantissima), ma anche sul coinvolgimento dei territori e delle forze produttive.

In terzo luogo, occorre una riforma seria e profonda dell’istituto della cittadinanza europea, oggi ancora troppo vincolato alla cittadinanza nazionale della quale rappresenta un mero complemento, peraltro fortemente ad essa subordinato.

Bisogna, invece, come disse la Corte di Giustizia, operare per farla diventare la posizione giuridica centrale nel sistema del diritto europeo.

Certo, sono obiettivi non facili da cogliere, ma ineludibili se vogliamo una Europa basata su una comunanza di valori e non semplicemente su fondi e finanziamenti.

La Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta una occasione imperdibile. 

 

 

 

venerdì 1 gennaio 2021

Catania Internazionale. Per i venticinque anni di un movimento internazionalista glocale

    Tra le cose che la pandemia tutt'ora dilagante ha costretto a rinviare vanno annoverate le celebrazioni progettate per il venticinquesimo anniversario di Catania Internazionale.

    Catania Internazionale nasce dall'attività dell'Osservatorio Europeo e Internazionale ed è il contenitore multipurpose di iniziative che mirano a promuovere la diffusione a Catania del pensiero internazionalista.

    E’ stato fondato nel 1995, al fine di assicurare una più incisiva azione sul territorio del movimento internazionalista, ossia il movimento di tutti coloro che antepongono i valori della pace e della cooperazione internazionale al nazionalismo e al sovranismo e considerano propri riferimenti culturali prioritari l’insegnamento di Kant e la testimonianza del pacifismo internazionale.

      Catania Internazionale guarda alla società globale non come una involuzione o una deviazione dall'ideale internazionalista, ma piuttosto come una opportunità per l’affermazione dei valori dell’internazionalismo.

       Catania Internazionale opera attraverso una capillare opera di sensibilizzazione delle élites nelle Università e nei circuiti politici e culturali. Sin dalla sua fondazione ha promosso e organizzato interventi  formativi e manifestazioni culturali in collaborazione con Università e associazioni  della società civile a Catania e in Sicilia, per dare una dimensione glocale alle sue iniziative, sensibilizzando le comunità locali ai valori dell'internazionalismo e del pensiero globale.