martedì 20 aprile 2021

Riparte la Conferenza sul futuro dell'Europa. Una occasione imperdibile!

 

Ieri ho partecipato a un interessante confronto online promosso dalla Fondazione PER “Progresso, Europa, Riforme” in occasione della presentazione ufficiale della piattaforma digitale per lo svolgimento della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Da quando, lo scorso 10 marzo, i presidenti della Commissione europea, del Parlamento europeo e del Consiglio hanno firmato una «Dichiarazione comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa», il sistema sembra essersi rimesso in moto e la data del 9 maggio prossimo come data di apertura ufficiale della Conferenza sembra ormai certa.

La proposta di una Conferenza sul futuro dell’Europa venne lanciata, come si sa, dal Presidente Macron nella primavera del 2019 e fu entusiasticamente adottata dalla Presidentessa della Commissione von der Leyen, che ne propose pure un’agenda e un calendario con inizio il 9 maggio 2020, a celebrazione simbolica dei settant’anni della dichiarazione Schuman.

Poi fu il COVID, la pandemia e il lockdown e della Conferenza si perse ogni traccia.

Così la Dichiarazione comune del 10 marzo rappresenta una buona notizia perché rimette in moto il processo, peraltro in un contesto che appare complicato, a tacer d’altro, dalla pandemia che non si arresta, dalla crisi economica ormai dilagante, dalla Brexit ancora tutta da capire nelle sue conseguenze, dalle costanti iniziative eversive dei sovranisti (che non rinunciano a considerare l’Unione semplicemente un bancomat e non una comunità di valori).

Ma la Dichiarazione è una buona notizia, anche perché, quantomeno, configura un armistizio tra le tre istituzioni, in conflitto fra di loro per la conduzione dei lavori della Conferenza. 

Conflitto che sembra appianato, come si evince dalla Dichiarazione stessa che, in un passaggio che val la pena di citare per intero, ne descrive l’articolato (e complicato) meccanismo di governance. Si dice infatti che:

«La conferenza sarà posta sotto l'egida delle tre istituzioni, rappresentate dal presidente del Parlamento europeo, dal presidente del Consiglio e dalla presidente della Commissione europea, che svolgeranno le funzioni di presidenza congiunta.

Una struttura di governance snella contribuirà a guidare la conferenza; garantirà una rappresentanza paritaria delle tre istituzioni europee e sarà equilibrata sotto il profilo del genere, in tutte le sue componenti.

Sarà istituito un comitato esecutivo, composto da una rappresentanza paritaria del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea, con tre rappresentanti e un massimo di quattro osservatori per ciascuna istituzione. La troika presidenziale della COSAC (la Conferenza degli Organi Specializzati negli Affari Comunitari dei Parlamenti nazionali n.d.r.) parteciperà in qualità di osservatore. Anche il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale possono essere invitati in qualità di osservatori, come pure, se del caso, rappresentanti di altri organismi dell'UE e delle parti sociali.

Il comitato esecutivo sarà copresieduto dalle tre istituzioni e riferirà periodicamente alla presidenza congiunta. Il comitato esecutivo sarà responsabile dell'adozione per consenso delle decisioni connesse ai lavori della conferenza e ai suoi processi ed eventi, nonché della supervisione della conferenza nel corso del suo svolgimento e della preparazione delle sessioni plenarie della conferenza, compresi i contributi dei cittadini e il loro seguito».

È difficile al momento prevedere cosa la Conferenza potrà realizzare. Ed in particolare, è difficile dire se essa si ridurrà alla ennesima consultazione dei cittadini o se potrà essere una storica occasione costituente.

Certo, visto il precedente inglorioso del 2002 che portò al progetto di una Costituzione europea del 2004, poi sconfessata, converrebbe evitare di professare ambizioni costituenti.

Ma vorremmo, come si dice, gettare comunque il cuore oltre l’ostacolo e indicare alcuni passaggi, di fatto costituenti, sui quali occorrerà comunque impegnarsi.

Il primo è un riequilibrio degli assetti istituzionali dell’Unione, oggi troppo sbilanciati a favore della componente intergovernativa e delle mediazioni in seno al Consiglio europeo, con il Consiglio invece spesso in difficoltà con le complicate maggioranze e la necessità in molti (troppi) casi della unanimità.

La soluzione è una sola ed è quella della generalizzazione del voto a maggioranza qualificata dovunque e comunque. Non ci si riuscì nel 2002, bisogna riprovarci a tutti i costi, come oggi usa dire.

Il secondo è un riassetto complessivo dei meccanismi di governance dell’Unione, aprendo spazi inediti al coinvolgimento delle rappresentanze degli enti regionali e locali e del mondo produttivo, relegate nell’attuale modello di governance a un ruolo da comprimari dalla competenza semplicemente consultiva del Comitato delle Regioni e del Comitato Economico e Sociale.

Invece, essi rappresenterebbero, se adeguatamente valorizzati, la possibilità di un originale e innovativo modello istituzionale europeo, basato sull’apporto non più solo della rappresentanza politica generale attraverso il Parlamento europeo (certo importantissima), ma anche sul coinvolgimento dei territori e delle forze produttive.

In terzo luogo, occorre una riforma seria e profonda dell’istituto della cittadinanza europea, oggi ancora troppo vincolato alla cittadinanza nazionale della quale rappresenta un mero complemento, peraltro fortemente ad essa subordinato.

Bisogna, invece, come disse la Corte di Giustizia, operare per farla diventare la posizione giuridica centrale nel sistema del diritto europeo.

Certo, sono obiettivi non facili da cogliere, ma ineludibili se vogliamo una Europa basata su una comunanza di valori e non semplicemente su fondi e finanziamenti.

La Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta una occasione imperdibile. 

 

 

 

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