Ieri ho partecipato a un interessante confronto
online promosso dalla Fondazione PER “Progresso, Europa, Riforme” in occasione
della presentazione ufficiale della piattaforma digitale per lo svolgimento
della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Da quando, lo scorso 10 marzo, i presidenti della
Commissione europea, del Parlamento europeo e del Consiglio hanno firmato una «Dichiarazione
comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa», il sistema sembra essersi rimesso
in moto e la data del 9 maggio prossimo come data di apertura ufficiale della
Conferenza sembra ormai certa.
La proposta di una Conferenza sul futuro
dell’Europa venne lanciata, come si sa, dal Presidente Macron nella primavera
del 2019 e fu entusiasticamente adottata dalla Presidentessa della Commissione
von der Leyen, che ne propose pure un’agenda e un calendario con inizio il 9
maggio 2020, a celebrazione simbolica dei settant’anni della dichiarazione
Schuman.
Poi fu il COVID, la pandemia e il lockdown e
della Conferenza si perse ogni traccia.
Così la Dichiarazione comune del 10 marzo
rappresenta una buona notizia perché rimette in moto il processo, peraltro in
un contesto che appare complicato, a tacer d’altro, dalla pandemia che non si
arresta, dalla crisi economica ormai dilagante, dalla Brexit ancora tutta da
capire nelle sue conseguenze, dalle costanti iniziative eversive dei sovranisti
(che non rinunciano a considerare l’Unione semplicemente un bancomat e non una
comunità di valori).
Ma la Dichiarazione è una buona notizia, anche perché,
quantomeno, configura un armistizio tra le tre istituzioni, in conflitto fra di
loro per la conduzione dei lavori della Conferenza.
Conflitto che sembra appianato, come si evince
dalla Dichiarazione stessa che, in un passaggio che val la pena di citare per
intero, ne descrive l’articolato (e complicato) meccanismo di governance. Si
dice infatti che:
«La conferenza sarà posta sotto l'egida delle tre
istituzioni, rappresentate dal presidente del Parlamento europeo, dal
presidente del Consiglio e dalla presidente della Commissione europea, che
svolgeranno le funzioni di presidenza congiunta.
Una struttura di governance snella contribuirà a
guidare la conferenza; garantirà una rappresentanza paritaria delle tre
istituzioni europee e sarà equilibrata sotto il profilo del genere, in tutte le
sue componenti.
Sarà istituito un comitato esecutivo, composto da
una rappresentanza paritaria del Parlamento europeo, del Consiglio e della
Commissione europea, con tre rappresentanti e un massimo di quattro osservatori
per ciascuna istituzione. La troika presidenziale della COSAC (la Conferenza
degli Organi Specializzati negli Affari Comunitari dei Parlamenti nazionali
n.d.r.) parteciperà in qualità di osservatore. Anche il Comitato delle regioni
e il Comitato economico e sociale possono essere invitati in qualità di
osservatori, come pure, se del caso, rappresentanti di altri organismi dell'UE
e delle parti sociali.
Il comitato esecutivo sarà copresieduto dalle tre
istituzioni e riferirà periodicamente alla presidenza congiunta. Il comitato
esecutivo sarà responsabile dell'adozione per consenso delle decisioni connesse
ai lavori della conferenza e ai suoi processi ed eventi, nonché della
supervisione della conferenza nel corso del suo svolgimento e della preparazione
delle sessioni plenarie della conferenza, compresi i contributi dei cittadini e
il loro seguito».
È difficile al momento prevedere cosa la
Conferenza potrà realizzare. Ed in particolare, è difficile dire se essa si
ridurrà alla ennesima consultazione dei cittadini o se potrà essere una storica
occasione costituente.
Certo, visto il precedente inglorioso del 2002
che portò al progetto di una Costituzione europea del 2004, poi sconfessata,
converrebbe evitare di professare ambizioni costituenti.
Ma vorremmo, come si dice, gettare comunque il
cuore oltre l’ostacolo e indicare alcuni passaggi, di fatto costituenti, sui
quali occorrerà comunque impegnarsi.
Il primo è un riequilibrio degli assetti
istituzionali dell’Unione, oggi troppo sbilanciati a favore della componente
intergovernativa e delle mediazioni in seno al Consiglio europeo, con il
Consiglio invece spesso in difficoltà con le complicate maggioranze e la
necessità in molti (troppi) casi della unanimità.
La soluzione è una sola ed è quella della generalizzazione
del voto a maggioranza qualificata dovunque e comunque. Non ci si riuscì nel
2002, bisogna riprovarci a tutti i costi, come oggi usa dire.
Il secondo è un riassetto complessivo dei
meccanismi di governance dell’Unione, aprendo spazi inediti al coinvolgimento
delle rappresentanze degli enti regionali e locali e del mondo produttivo,
relegate nell’attuale modello di governance a un ruolo da comprimari dalla
competenza semplicemente consultiva del Comitato delle Regioni e del Comitato
Economico e Sociale.
Invece, essi rappresenterebbero, se adeguatamente
valorizzati, la possibilità di un originale e innovativo modello istituzionale
europeo, basato sull’apporto non più solo della rappresentanza politica
generale attraverso il Parlamento europeo (certo importantissima), ma anche sul
coinvolgimento dei territori e delle forze produttive.
In terzo luogo, occorre una riforma seria e
profonda dell’istituto della cittadinanza europea, oggi ancora troppo vincolato
alla cittadinanza nazionale della quale rappresenta un mero complemento,
peraltro fortemente ad essa subordinato.
Bisogna, invece, come disse la Corte di
Giustizia, operare per farla diventare la posizione giuridica centrale nel
sistema del diritto europeo.
Certo, sono obiettivi non facili da cogliere, ma
ineludibili se vogliamo una Europa basata su una comunanza di valori e non
semplicemente su fondi e finanziamenti.
La Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta
una occasione imperdibile.
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