venerdì 20 dicembre 2013

Una nuova ricostruzione dell'efficacia dei principi generali nel diritto dell'Unione europea


di Rosario Sapienza

Giunge in questi giorni in libreria il volume Principi generali e diritto derivato. Contributo allo studio del sistema delle fonti dell'Unione europea pubblicato dalla casa editrice Giappichelli nella collana del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Si tratta di un tipico e assai pregevole  prodotto dall’ approccio accademico italiano alla problematica del diritto dell’Unione europea. L’autrice, ricercatore di diritto dell’Unione europea presso l’Università di Messina e ivi professore aggregato della medesima disciplina, appartiene alla schiera dei giovani e agguerriti cultori delle nostre discipline dalle quali noi della generazione di mezzo ci attendiamo un valido supporto e un importante contributo all’approfondimento di un fenomeno così complesso quale indubbiamente è il diritto dell’Unione europea.
Il saggio, di impianto monografico, si presenta  come una ricostruzione critica della categoria dei principi generali, che l’autrice considera, in adesione a un’autorevole posizione dottrinale,  come una fonte di diritto primario dell’ordinamento giuridico  dell’Unione. L’opera si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo si individuano le caratteristiche salienti della categoria dei principi generali del diritto, attraverso una ricostruzione attenta della evoluzione della concettualizzazione dei principi stessi nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Nella sopra delineata prospettiva di una prima analisi, nel secondo capitolo si analizza la giurisprudenza della Corte sul complesso rapporto che si istituisce  tra i principi generali e le  direttive. Il terzo capitolo evidenzia poi  come i principi generali siano divenuti lo strumento attraverso il quale garantire la “tenuta” del sistema, ossia perseguire l’ “effettività” del diritto dell’Unione, nella duplice forma dell’effettività del diritto tout court e dell’effettività della tutela giurisdizionale dei singoli.
La Vitale offre così una prima ricostruzione della giurisprudenza della Corte di giustizia mirando a cogliere il nuovo rapporto che essa, in specie con una serie di recenti ed innovative pronunce, ha inteso istituire tra i principi generali e le altre fonti del sistema, con particolare riguardo agli atti di diritto derivato.  Un utile contributo alla sistemazione scientifica di una materia tanto nuova quanto complessa e che conferma le doti di attenta studiosa già evidenziate dal precedente lavoro monografico su Diritto processuale nazionale e diritto dell’Unione europea (Ed.it, Firenze, 2010) volto a indagare il cosiddetto principio dell’autonomia procedurale del diritto nazionale nel sistema dell’Unione.




mercoledì 18 dicembre 2013

In libreria la quarta edizione di Diritto Internazionale. Casi & Material



                                                                         di Rosario Sapienza
Mi faccio assiduo, me ne rendo conto, ma non posso fare a meno di segnalare l’arrivo in libreria della quarta edizione del volume Diritto Internazionale. Casi e Materiali, da me curato per i tipi della casa editrice Giappichelli. Questa edizione presenta non poche diversità rispetto alle tre edizioni che la hanno preceduta (1999, 2002, 2007) ognuna delle quali, peraltro, non era mai stata soltanto la ... ristampa aggiornata delle precedenti, ma in uno sforzo di costante adeguamento alle sempre mutevoli esigenze della didattica, si era presentata sempre funzionale a nuovi contesti e nuove strategie formative.
L’attuale, comunque, si presenta, se possibile, ancor più … diversa. In primo luogo perché di essa io non sono l’autore, ma il curatore e, in secondo luogo, perché la scelta dei materiali è quasi esclusivamente orientata verso la giurisprudenza italiana.
 I materiali raccolti in questo volume sono, infatti, alcuni tra quelli elaborati all’interno del gruppo di lavoro “Giurisdizioni nazionali e diritto internazionale” attivo presso la Cattedra di diritto internazionale e diritto dell’Unione europea da me diretta nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania.
Il Gruppo di lavoro “Giurisdizioni nazionali e diritto internazionale” è composto da giovani studiosi del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea ed è stato costituito nel 2007 in appoggio al corso avanzato “Il diritto internazionale nel processo italiano” avviato proprio in quell’anno accademico, e ciò secondo la prassi seguita fin dal 2001, anno in cui venni chiamato ad assumere la direzione della Cattedra, di creare un gruppo di lavoro che svolga l’attività  di ricerca e di organizzazione che la realizzazione di ciascun corso comporta.
L’idea che ispira e sottende le attività del gruppo è che, sebbene lo studio dell’incidenza del diritto internazionale sul diritto interno degli Stati appartenga al novero degli approcci tradizionali alla ricerca nelle discipline giuridico-internazionali, da qualche tempo esso ha assunto nuova dimensione e importanza in relazione proprio al ruolo dei giudici nazionali nell’amministrare l’applicazione del diritto internazionale all’interno dei propri ordinamenti e all’esigenza di enfatizzare adeguatamente come il diritto internazionale possa e debba sempre più vivere anche nella e della sua applicazione all’interno degli Stati. E’ superfluo, mi pare, sottolineare poi quanto questo approccio sia proficuo per la formazione del giurista contemporaneo e come esso rappresenti una via aurea verso la presentazione adeguata agli studenti di giurisprudenza della evoluzione del diritto internazionale.

I casi presentati in questa raccolta sono stati scelti (in collaborazione con gli autori delle singole note di presentazione, che colgo qui l’occasione per ringraziare) avendo presente l’esigenza di dare una sintetica, ma, per quanto possibile, completa rappresentazione degli indirizzi assunti dalla giurisprudenza italiana nell’applicazione del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea, avendo presenti i vari parametri costituzionali operanti al riguardo. Così si spazia dalla teoria dei controlimiti, elaborata come si sa in relazione all’applicazione del diritto dell’Unione europea e dunque all’interno delle problematiche relative all’articolo 11 della Costituzione (capitolo che si deve a Elisabetta Mottese), alla giurisprudenza in tema di immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione italiana, intercettando dunque tematiche attinenti alla sfera dell’articolo 10, primo comma (ad opera di Giuliana Quattrocchi e Federica Gentile). La raccolta si conclude poi con l’esame della recente giurisprudenza in tema di applicazione in Italia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e dunque con l’analisi di problematiche relative all’articolo 117 della nostra Costituzione (di Elisabetta Mottese ed Eleonora Litrico).
L'auspicio rimane quello, già formulato in occasione delle precedenti edizioni, che questo volume possa contribuire alla diffusione in Italia della conoscenza del diritto internazionale, particolarmente tra coloro che sono dediti alle tradizionali professioni forensi.

martedì 17 dicembre 2013

In tutto il mondo la Giornata internazionale del migrante

di Rosario Sapienza
Domani, 18 dicembre, si celebra  in tutto il mondo la Giornata internazionale del migrante, voluta nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per solennizzare il decimo anniversario dell’adozione della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

Ci sono oggi nel mondo  232 milioni di migranti internazionali, persone cioè che vivono in un Paese diverso da quello nel quale sono nati (e dunque non contando i migranti all’interno del loro Paese) pari al 3,2 % della popolazione mondiale, secondo un recente rapporto dell’UN DESA, il Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite.

Secondo il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, essi devono essere sempre più visti come una risorsa per le società che li accolgono, dato che, egli ha affermato, “la migrazione è espressione dell’ambizione umana alla dignità, alla sicurezza e a un futuro migliore”. Per questo, seguendo le indicazioni del Dialogo ad alto livello sulle migrazioni internazionali e lo sviluppo, tenutosi nello scorso mese di ottobre a New York, egli ha proposto all’Assemblea Generale un’ambiziosa agenda in otto punti per valorizzare al meglio il contributo dei migranti.

Anche  il Consiglio d’Europa, che  ha istituito nel 2011 l’ufficio del Coordinatore delle Migrazioni, con il compito di gestire in maniera organica tutte le attività dell’organizzazione rilevanti per la protezione e l’integrazione dei migranti, ha varato un programma-quadro biennale sui temi delle migrazioni, con l’intento di affinare l’approccio dell’organizzazione a questi problemi, passando da un’attività principalmente tesa alla predisposizione di principi normativi alla promozione di una più effettiva ed efficace applicazione di quegli stessi principi e strumenti.

L’Italia, che peraltro affronta una migrazione sempre più di passaggio, di persone cioè che transitano dal nostro Paese per dirigersi altrove e che dunque è difficile qualificare come una emergenza nazionale, continua a fare collezione di brutte figure, di “malecumparse” come si dice dalle mie parti, come l’ultima, documentata a Lampedusa, dove pare che gli “ospiti” del Centro di prima accoglienza siano stati sottoposti a trattamenti anti scabbia nudi all’aperto e spruzzati con getti d’acqua trattata, suscitando anche una indignata nota del vescovo di Agrigento. Ma si puo?






sabato 14 dicembre 2013

In libreria Diritto Internazionale. Quattro Pezzi Facili



 di  Rosario Sapienza


Come si dice .... Scusate se da sol mi presento ..... E’ da qualche settimana in libreria l’ultimo mio libro, intitolato “Diritto Internazionale. Quattro Pezzi Facili”, pubblicato per i tipi della Giappichelli.  Esso raccoglie in quattro saggi (appunto i quattro pezzi facili) i primi risultati di un complesso e articolato itinerario di ricerca volto ad una accurata presentazione della ragion d’essere e dei principali contenuti del diritto internazionale pubblico. Il diritto internazionale pubblico come autonoma disciplina scientifica e come professione nasce nella seconda metà dell’ottocento. E’ in quel torno di tempo che si assiste a una vera e propria rivoluzione metodologica negli studi giuridici all’insegna del positivismo, soprattutto da parte della dottrina tedesca. Si cimentano in quest’opera grandi giuspositivisti, come Bluntschli, Heffter, Triepel, Heilborn. L’intento che animava questi studiosi era infatti quello di giungere a una ricostruzione del diritto internazionale coerente con i principi del giuspositivismo che si andavano affermando in quegli anni nello studio degli ordinamenti giuridici degli Stati.
Il mio libro prende le mosse proprio dalle loro ricerche, non tanto nell’intento di avviare una indagine storica, ma   di offrire piuttosto una prima indicazione di metodo nella ricostruzione delle vicende delle quali si tratta, e cioè quella di considerare la realtà delle relazioni giuridiche internazionali sia per come vengono viste e pensate dagli attori in esse impegnate sia per come appaiono allo sguardo  dell’osservatore che le ricostruisce. Questa doppia prospettiva, nella quale mi pare si sostanzi, opportunamente, una metodologia che voglia essere adeguata, offre, credo, una feconda occasione di approfondimento e di originale ricostruzione di quel singolare fenomeno giuridico che chiamiamo diritto internazionale pubblico.
Ricostruzione che deve poi, di necessità, contaminare gli strumenti della indagine giuspositivistica con quelli dell’approccio storico-critico, operazione da qualche tempo diventata usuale per gli studiosi della nostra disciplina tanto in Europa quanto Oltreoceano. Non si tratta, in altre parole, di scrivere una storia del diritto internazionale o di certi suoi istituti, impresa complessa anche se comunque commendevole, ma di ricostruire il portato odierno e positivo di un istituto alla luce della sua evoluzione storica, intento questo di una qualche utilità anche ai fini di una didattica non convenzionale.
Negli ultimi tempi ci si chiede addirittura se possa ancora parlarsi del diritto internazionale come un sistema normativo unico e coeso, o se invece si debba prender atto della sua irreversibile frammentazione. Se lo è chiesto la Commissione del diritto internazionale che ha istituito al suo interno un gruppo di lavoro che ha presentato nel 2006 sul tema Fragmentation of International Law: Difficulties arising from the Diversification and Expansion of International Law, il suo Rapporto finale contenente 42 conclusioni. Si è così per il momento terminata una lunga stagione di riflessione su queste tematiche, affidata anche a ponderosi studi.
Questo volume non comprende tutte le tematiche usualmente trattate in una presentazione sistematica del diritto internazionale pubblico.  Ho inteso, per il momento, soltanto ricostruire la vicenda attraverso la quale si è cercato di salvaguardare la costante validità dell’idea dell’unità del sistema giuridico internazionale agendo sulla nozione di soggetto giuridico internazionale, progressivamente riorganizzandola e rielaborandola al fine di mantenere  intatta per quanto possibile  l’unità del sistema giuridico internazionale, cercando poi di indagare la sua tenuta rispetto a due tematiche cruciali: la protezione dei diritti dell’uomo e la disciplina dell’uso della forza armata.


lunedì 9 dicembre 2013

Domani la Giornata Mondiale dei Diritti Umani

di Rosario Sapienza

Ricorre domani la Giornata Mondiale dei Diritti Umani che ha come tema la celebrazione del ventesimo anniversario dall'istituzione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani  (http://www.un.org/en/events/humanrightsday/ ). La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217/III, un testo che a sessantacinque anni dalla sua approvazione mantiene intatta la sua forza morale, ma purtroppo anche le sue intrinseche debolezze.
La Giornata è uno degli eventi di punta nel calendario del quartier generale delle Nazioni Unite a New York ed è onorata con conferenze di alto profilo politico ed eventi culturali come mostre o concerti riguardanti l'argomento dei diritti umani. Inoltre, in questa giornata vengono tradizionalmente attribuiti i due più importanti riconoscimenti in materia, ovvero il Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, assegnato a New York, e il Premio Nobel per la pace ad Oslo. Quest'anno il Premio Nobel è stato assegnato all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
In tutto il mondo, poi, molte altre organizzazioni, intergovernative e non governative, scelgono questa giornata per eventi significativi che celebrano i diritti umani e sottolineano l’urgenza della loro protezione.
Benché il testo della Dichiarazione sia arcinoto, può essere qui utile brevemente richiamarne la struttura. La Dichiarazione consta di 30 articoli che possono essere così ordinati: gli articoli 1-2 enunciano i diritti di tutti gli uomini alla libertà ed eguaglianza; gli articoli 3-11 contengono una riproposizione dei  diritti di libertà individuale, tra i quali all’art. 9 il cosiddetto habeas corpus; gli articoli 12-17 enunciano i diritti dell'individuo nella comunità in cui egli è inserito; gli articoli 18-21 riprendono il catalogo delle cosiddette "libertà borghesi", ossia la libertà di pensiero, coscienza e religione (art. 18), di opinione e di espressione (art. 19), di riunione e di associazione pacifica (art. 20), di partecipazione politica (art. 21); gli articoli 22-27 enunciano i diritti economici, sociali e culturali, e cioè il diritto alla sicurezza sociale (art. 22), al lavoro (art. 23), al riposo e allo svago (art. 24), a un tenore di vita adeguato (art. 25), all’istruzione (art. 26), alla cultura (art. 27); gli  articoli 28-30,  a mo’ di conclusione chiariscono le condizioni alle quali è possibile il godimento dei diritti precedentemente enunciati, in particolare sottolineando il diritto “a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati” (art. 28), richiamando i possibili fondamenti dei limiti al godimento dei diritti (art. 29), escludendo che la Dichiarazione possa essere utilizzata per raggiungere lo scopo di attentare al godimento dei diritti in essa enunciati (art. 30).
Nell’intenzione dei proponenti, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo doveva rappresentare a livello mondiale quello che nelle costituzioni degli Stati liberali era il cosiddetto Bill of Rights, ossia l’elenco dei fondamentali diritti della persona umana. L’idea della protezione dei diritti umani non era un’idea nuova. È noto infatti che le prime Dichiarazioni dei diritti dell’uomo risalgono al settecento ed esprimono la pressante urgenza di affermare l’esigenza di difesa della libertà del cittadino nei confronti di uno Stato tradizionalmente visto come avversario delle libertà.  Sono, dunque,  delle dichiarazioni “borghesi”, che ci consegnano un modello di Stato attento a non invadere gli spazi di libertà del singolo cittadino. Queste dichiarazioni le ritroviamo ancora, aggiornate e integrate, in molte costituzioni statali.  Rispetto ad esse, però, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo presentava alcune fondamentali differenze. Innanzitutto, per quel che riguardava la sua forza obbligatoria. Mentre le Dichiarazioni dei diritti che fanno parte delle Carte costituzionali degli Stati sono delle vere e proprie leggi, anzi hanno talvolta una forza superiore a quella della stessa legge, la Dichiarazione Universale, come molte altre Dichiarazioni delle organizzazioni internazionali, aveva il valore di una semplice raccomandazione indirizzata dall'Assemblea Generale agli Stati. In altri termini, pur avendo un alto valore morale, la Dichiarazione non imponeva agli Stati l’obbligo di proteggere i diritti in essa contenuti, ma semplicemente raccomandava loro di farlo. E risulta comunque dagli atti della commissione chiamata ad elaborarla che essa si propose espressamente di redigere un testo giuridicamente non vincolante.
  Ma c’era un altro elemento di debolezza della Dichiarazione e consisteva nel fatto che mentre le Dichiarazioni dei diritti adottate all'interno degli Stati esprimevano una concordanza su certi valori fondamentali, la Dichiarazione Universale rappresenta piuttosto il compromesso tra visioni della società non solo diverse fra di loro, ma addirittura antitetiche e contrapposte. E così, anche se la Dichiarazione enunciava certi diritti, era chiaro fin dall’inizio che questi diritti avrebbero significato cose diverse a seconda del Paese nel quale ad essi si dovesse dare tutela. Una cosa, per esempio, era parlare di libertà d’espressione negli Stati occidentali, un’altra negli Stati socialisti. E questo, diciamo così, equivoco di fondo, avrebbe segnato in maniera indelebile anche i successivi sviluppi in materia. Anche se deve precisarsi che in certa misura la difficoltà di fare emergere valori comuni dipende proprio dalla presenza tra gli Stati di differenti concezioni in materia e non da un atteggiamento di voluta sfiducia nella possibilità di dare un fondamento “forte”, ossia radicato nei valori, alla protezione internazionale dei diritti dell’uomo.  D’altra parte anche se è vero che il testo fu adottato all’unanimità (nel senso che non ebbe alcun voto contrario) è  pure vero che numerose furono le astensioni (tutti i Paesi dell’Europa dell’Est, l’Arabia Saudita, il Sudafrica) e che due Paesi non parteciparono al voto (Honduras e Yemen).
E ancor oggi, come a proposito del testo della Dichiarazione, la  presenza nel mondo di differenti visioni culturali sull’uomo e sul suo rapporto con la società e le istituzioni politiche rappresenta un problema per il sistema delle Nazioni Unite. Nonostante l’esistenza di numerosi trattati internazionali sui diritti dell’uomo, fatica ad emergere una visione uniforme sui diritti umani. E, in una certa misura, è anche giusto (oltre che inevitabile) che sia così, poiché nessun popolo può rinunciare alla sua identità e originalità che gli viene dalle sue tradizioni e dalla sua cultura.
Il testo che venne approvato nel 1948 parla di diritti uguali per tutti e in questo senso può venire descritto come una rielaborazione del portato giusnaturalistico in tema di diritti umani: ma come non notare che la stessa idea giusnaturalistica   di diritti uguali per tutti  è un’idea di marca occidentale?  
In fondo, lo stesso ideale internazionalista del pacifismo tardo ottocentesco, incarnatosi, anche se tardivamente, nelle organizzazioni internazionali universali, non riesce ad imporsi e non solo perché  all’interno di quelle organizzazioni i Paesi non occidentali hanno una posizione di sicuro predominio, quantomeno numerico. Ciò accade perchè l'estensione di quei valori si scontra con formidabili difficoltà legate alla diversità di fondo dei sostrati culturali che caratterizzano gli Stati nel mondo, mentre, invece, l'ideale pacifista e umanitario del tardo ottocento pretende di costruire una pace che riposi su una comune civiltà, sull’accettazione di valori comuni e di un comune sentire dei popoli della terra. Esso finisce quindi con il giudicare intollerabile il fatto che dietro la sovranità statale si celino valori e modi di incarnarli assai differenti e quindi con il non poter “accontentarsi” di un ordine semplicemente convenzionale.
In realtà, quel pacifismo nasceva da una visione del mondo come retto da valori e regole universali perchè fondati su un comune sostrato culturale universale, su una sorta di diritto naturale universale, kantianamente affermato in termini per la verità piuttosto apodittici e ingenui.
 Esiste invece uno scarto culturale tra l’Occidente e altre aree culturali, scarto che fa sì che il compito di costruire valori comuni che possano determinare una comune civiltà planetaria è assai arduo ed è, tutto sommato, ancora agli inizi. Non basta adottare strumenti internazionali in materia di diritti umani per far sì che i valori occidentali che di quegli strumenti sono il terreno di coltura si diffondano ipso facto a livello planetario. Ed è singolare, in verità, che un Occidente che ha prodotto gli studi di antropologia culturale non riesca a comprendere questo limite del suo ideale pangiuridico universale. Certo è che fino a quando non lo si comprenderà e non si opererà concretamente per un reale dialogo interculturale prima che internazionale, non si potrà dire di aver posto nemmeno la prima pietra all'edificazione di una comune civiltà giuridica a livello mondiale.
 Nonostante questa difficoltà, un elemento di novità maturato in questi anni è invece rappresentato dal crescere dell’interesse per la tematica della protezione dei diritti umani nella queste tematiche, all’interno dei singoli Stati. Nascono dunque istituzioni promosse dalla società civile, la cui creazione è anche raccomandata dalla risoluzione 48/134 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e che presentano l’indubbio vantaggio di affiancare all’azione governativa per il rispetto dei diritti dell’uomo, una azione della gente comune per la tutela dei diritti.
Ciò produce un primo risultato importantissimo: quello di sottrarre la materia dei diritti umani e della loro protezione all’esclusiva competenza dei governi facendo diventare questi temi oggetto di un dibattito culturale e politico. E così facendo si invera la dimensione autenticamente costituzionale di un testo come la Dichiarazione Universale, patrimonio dunque condiviso e ispiratore di prassi attuative anche differenziate, ma concorrenti, secondo diverse tradizioni, ma sottratte al calcolo politico degli apparati.
Così la dimensione internazionale e quella nazionale, la dimensione istituzionale e quella della società civile si integrano e si consolida quella coscienza sociale che fa della protezione dei diritti umani un obiettivo politico, in senso alto, e non di parte, sottraendolo alla logica della ragion di Stati, rispetto alla quale i diritti umani appaiono dunque una frontiera sempre ulteriore, uno strumento di dialettica e di critica, un continuo rimando ad un altrove, fondato sull’inalienabile diritto dell’uomo alla propria originalità di essere irriducibile a qualunque manipolazione.