domenica 22 novembre 2020

Dublino IV. Ci arriveremo mai?

 Il 23 settembre scorso, la Commissione europea ha presentato il Nuovo patto europeo per l’immigrazione e l’asilo [COM (2020) 609 final], lasciando delusi quanti si aspettavano (troppo ottimisticamente) né più né meno che l'abrogazione del sistema Dublino.


Che si chiama così perché basato sulla convenzione di Dublino del 1990 che, di fronte a una questione migratoria vista allora come cosa di poche decine o centinaia di persone, si preoccupava solo di stabilire quale Paese europeo fosse competente ad esaminare una richiesta di protezione internazionale, individuandolo nel Paese europeo nel quale il migrante avesse toccato il suolo europeo per la prima volta.

Questo approccio è rimasto in vigore attraverso le varie riedizioni della normativa europea, ma, di fronte a flussi di persone che hanno rapidamente raggiunto le centinaia di migliaia e che si sono da subito presentati come flussi misti (ossia composti da persone che possono aver diritto alla protezione internazionale e altre che non ne posseggono i requisiti), ha finito per gravare in maniera sproporzionata i Paesi mediterranei dell’Unione ed in particolare, come si sa, l’Italia e la Grecia.

Si è cercato più volte di uscire da questa situazione evocando obblighi di ricollocazione in altri Paesi dell’Unione, fondati sul principio di solidarietà previsto dall’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione.

Non si è ottenuto alcunché, nonostante l’intervento della Corte di Giustizia, che, più volte ha deciso che gli Stati non possono sottrarsi all'obbligo di solidarietà.

E nemmeno il Nuovo patto della von der Leyen, prevede la ricollocazione come oggetto di un vero e proprio obbligo giuridico.   

E, inoltre, esso appare deludente anche perché non segna l’abbandono della riduttiva prospettiva fin qui seguita dall’Unione europea. Quella cioè di non voler considerare il fenomeno migratorio come una vera e propria crisi, implicante la necessità di misure straordinarie, attenendosi invece ai principi del diritto internazionale in materia, secondo il quale non esiste, in verità, almeno fino a questo momento, un diritto a migrare giuridicamente riconosciuto a tutti gli uomini.

E così l’Unione ha costruito un sistema volto più a tutelare i propri cittadini che i migranti cui vengono riconosciuti diritti solo se possono aspirare alla protezione internazionale. 

Di qui l’accento posto anche dalla proposta von der Leyen sul rafforzamento della tutela delle frontiere esterne, attraverso un rilancio delle competenze e dei poteri di Frontex, l’agenzia dell’Unione europea preposta al controllo delle frontiere.

Restano delusi certo gli ottimisti, ma anche chi, come noi, pensa di ispirarsi a un prudente realismo.

Davvero, si poteva fare di più, comprendere che non è possibile descrivere l'Unione come capace di portare soccorso dovunque ci siano crisi e poi abbandonare al loro destino i migranti nel Mediterraneo.

Frontex non può essere la risposta.

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