venerdì 6 settembre 2013

Rifugiati e Unione europea. Verso Dublino III

di Rosario Sapienza


Nello scorso mese di agosto si è intensificata la frequenza degli sbarchi di migranti, molti dei quali provenienti da Paesi nei quali sono in corso violenti scontri armati, come ad esempio la Siria. Ciò ha suscitato comprensibile apprensione e uno spontaneo moto di solidarietà che è valso ai siciliani il plauso del Presidente della Repubblica e di esponenti autorevoli delle istituzioni internazionali.

L’elevato numero dei migranti ha, però, generato situazioni di reale disagio tra gli stessi extracomunitari, dovute alle oggettive difficoltà di fornire un primo soccorso e una adeguata sistemazione a tutti.  La complessità e a tratti l’incertezza del quadro normativo internazionale, europeo e interno in materia non aiuta poi a semplificare le questioni. Può dunque essere utile far chiarezza.

Nel diritto internazionale, una fondamentale distinzione passa tra chi ha titolo al riconoscimento dello status di rifugiato e chi non può aspirare a tale protezione.

Seppure è vero, infatti,  che severe condizioni di povertà o calamità naturali  possono costringere le persone a lasciare il proprio Paese cercando altrove …  “rifugio” ciò non fa di costoro degli aventi diritto al titolo di “rifugiati” ai sensi del diritto internazionale.

 La condizione di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 può essere infatti riconosciuta solo a chi  è costretto a lasciare  il proprio Stato per il fondato timore di subire una persecuzione per uno dei motivi tassativamente elencati, che sono stati nel tempo anche interpretati estensivamente in modo da tutelare, ad esempio, donne perseguitate perché avevano rifiutato di sottoporsi a mutilazioni genitali o persone a rischio di condanne penali a causa del proprio orientamento sessuale. Ed anche se l’Italia deriva  l’obbligo dell’accoglienza ai richiedenti asilo dalla propria Costituzione che all’ art. 10, 3° comma,  enuncia  una nozione più ampia rispetto a quella della Convenzione, la nozione internazionale rimane condizionante, anche perché lo status di rifugiato deve essere concesso con adeguata circospezione e attento esame vista la sua validità internazionale.  Peraltro, e non da ora, si sono affiancate  alla nozione di rifugiato altre categorie che mirano a riconoscere adeguata tutela alle varie situazioni.

A tal proposito va ricordato che l’Unione europea ha un proprio sistema di asilo, basato su un’ampia nozione di protezione internazionale,  che rende possibile riconoscere sia lo status di rifugiato sia altre forme di tutela, quali la protezione sussidiaria o la protezione temporanea, nel tentativo di predisporre uno schema  adatto a qualunque situazione.

Tale sistema è stato recentemente modificato. Nello scorso mese di giugno, infatti, è stato adottato, insieme ad altri atti,  il nuovo Regolamento Dublino, il cosiddetto Regolamento Dublino III (Regolamento UE n° 604/2013) che  entrerà in vigore a partire dal 2014, sostituendo il  Regolamento (CE) 343/2003, detto Dublino II, e modificandone in parte il disposto, soprattutto per quel che riguarda  la determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale e le modalità e tempistiche per la determinazione.

Il sistema europeo persegue infatti il duplice obiettivo di evitare,  da una parte, che nessuno Stato si dichiari competente all’esame della domanda di protezione internazionale, privando così il rifugiato del diritto di accedere al riconoscimento dello status, e dall’altra di impedire che i richiedenti asilo o protezione si spostino all’interno dell’Unione, alla ricerca di una destinazione preferita.

Il nuovo regolamento affina un già articolato schema che porta a identificare, a seconda delle varie categorie di richiedenti, lo Stato competente ad esaminare la domanda di protezione (la cosiddetta presa in carico) cercando, per quanto possibile, di assicurare una adeguata tempistica e prassi amministrative uniformi. Sotto l’impero della vecchia normativa si erano registrati infatti numerosi casi di disparità di trattamento da Stato a Stato.

Va però riconosciuto che questa pur auspicabile evoluzione normativa rappresenterà, specie nel momento della sua prima applicazione, un’ulteriore difficoltà.  Sarebbe illusorio infatti pensare che il nuovo sistema possa funzionare in tempi brevi, anche dopo la data prevista per la sua applicazione.  Ci vorrà tempo e tanta buona volontà.
  
Questo articolo è stato pubblicato su La Sicilia di oggi con il titolo "Lo status di rifugiato non è un diritto di tutti" 






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