domenica 23 dicembre 2012

I quarant'anni della Convenzione UNESCO sul Patrimonio Culturale Mondiale




di Rosario Sapienza

Si è celebrato quest’anno il quarantesimo anniversario della Convenzione UNESCO per la protezione del Patrimonio Mondiale aperta alla firma a Stoccolma nel 1972. Con  190 Stati parti e 962 siti protetti essa ha rappresentato un importante passo in avanti verso l’affermazione di un regime internazionale per la protezione e la conservazione dei beni culturali e paesaggistici, un sistema normativo ancora perfettibile e a tratti incompleto. L’anniversario può essere così occasione preziosa per un bilancio complessivo del funzionamento della Convenzione. Qui ci limiteremo, secondo quella che è la nostra vocazione, ad evidenziarne i pregi e i limiti dal punto di vista tecnico redazionale.

In primo luogo, come accade per molti testi di questo tipo, la Convenzione crea un sistema di tutela nel quale i compiti della struttura amministrativa dell’UNESCO si affiancano e a volte sovrappongono alle competenze degli organi espressione degli Stati parti, creando dunque difficoltà operative anche importanti.  Inoltre, un elemento di complicazione è rappresentato dal ruolo svolto dalle organizzazioni non governative e dalle incertezze che anche qui si riscontrano in relazione al riparto di competenze.  Dunque, il coinvolgimento di attori così diversi e portatori di interessi spesso divergenti richiederebbe una migliore definizione di ruoli e competenze.  

In secondo luogo, la Convenzione dispone di un sistema di controllo assai articolato, dato che esso si basa sia sul meccanismo blando dei rapporti periodicamente presentati dagli Stati sia sull’attività di un Comitato del Patrimonio Mondiale, composto dai rappresentanti di 21 degli Stati parti.   Ma anche all’interno delle attività di questo Comitato tendono a prevalere le logiche della politica e della diplomazia, col risultato che i meccanismi di controllo più esigenti vengono utilizzati raramente.

Un terzo tipo di problemi che vedo è quello rappresentato dalle difficoltà di coordinamento tra il sistema del 1972 (che prevede anche una Lista del Patrimonio Culturale in pericolo) e il sistema basato sulla Convenzione de L’Aja del 1954 relativa alla protezione dei siti culturali in occasione dei conflitti armati. Questo sistema, aggiornato nel 1999 con un protocollo addizionale entrato in vigore nel 2004, resta comunque condizionato da un approccio datato e fortemente condizionato dalla cooperazione degli Stati ed è difficile organizzare una protezione comunque efficace in situazioni di conflitto armato.

E’ giunto il momento, credo,  per una generale riorganizzazione delle strategie di protezione internazionale dei beni culturali e paesaggistici, sottraendole al dare e avere delle relazioni diplomatiche e dando vita a un corpo di funzionari internazionali dotati dei poteri e delle competenze necessari per intervenire in un settore tanto delicato.


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