di Rosario Sapienza
Si è celebrato quest’anno il
quarantesimo anniversario della Convenzione UNESCO per la protezione del
Patrimonio Mondiale aperta alla firma a Stoccolma nel 1972. Con 190 Stati parti e 962 siti protetti essa ha
rappresentato un importante passo in avanti verso l’affermazione di un regime
internazionale per la protezione e la conservazione dei beni culturali e
paesaggistici, un sistema normativo ancora perfettibile e a tratti incompleto. L’anniversario
può essere così occasione preziosa per un bilancio complessivo del
funzionamento della Convenzione. Qui ci limiteremo, secondo quella che è la
nostra vocazione, ad evidenziarne i pregi e i limiti dal punto di vista tecnico
redazionale.
In primo luogo, come accade per
molti testi di questo tipo, la
Convenzione crea un sistema di tutela nel quale i compiti
della struttura amministrativa dell’UNESCO si affiancano e a volte sovrappongono alle competenze degli organi espressione degli Stati parti, creando dunque
difficoltà operative anche importanti.
Inoltre, un elemento di complicazione è rappresentato dal ruolo svolto
dalle organizzazioni non governative e dalle incertezze che anche qui si
riscontrano in relazione al riparto di competenze. Dunque, il coinvolgimento di attori così
diversi e portatori di interessi spesso divergenti richiederebbe una migliore
definizione di ruoli e competenze.
In secondo luogo, la Convenzione dispone di
un sistema di controllo assai articolato, dato che esso si basa sia sul
meccanismo blando dei rapporti periodicamente presentati dagli Stati sia
sull’attività di un Comitato del Patrimonio Mondiale, composto dai
rappresentanti di 21 degli Stati parti. Ma anche all’interno delle attività di questo
Comitato tendono a prevalere le logiche della politica e della diplomazia, col
risultato che i meccanismi di controllo più esigenti vengono utilizzati
raramente.
Un terzo tipo di problemi che
vedo è quello rappresentato dalle difficoltà di coordinamento tra il sistema
del 1972 (che prevede anche una Lista del Patrimonio Culturale in pericolo) e
il sistema basato sulla Convenzione de L’Aja del 1954 relativa alla protezione
dei siti culturali in occasione dei conflitti armati. Questo sistema, aggiornato
nel 1999 con un protocollo addizionale entrato in vigore nel 2004, resta
comunque condizionato da un approccio datato e fortemente condizionato dalla
cooperazione degli Stati ed è difficile organizzare una protezione comunque
efficace in situazioni di conflitto armato.
E’ giunto il momento, credo, per una generale riorganizzazione delle
strategie di protezione internazionale dei beni culturali e paesaggistici,
sottraendole al dare e avere delle relazioni diplomatiche e dando vita a un
corpo di funzionari internazionali dotati dei poteri e delle competenze
necessari per intervenire in un settore tanto delicato.
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