giovedì 24 ottobre 2013

A Caltagirone aperta la XXXI Cattedra Sturzo

di Rosario Sapienza


E' stata inaugurata ieri la XXXI edizione della Cattedra Sturzo, un originale think tank che con una peculiare formula raccoglie ogni anno giovani studiosi e maestri più maturi per riflettere insieme, nello spirito laico ma cristianamente ispirato che fu di Luigi Sturzo, su una questione politica di particolare attualità.

La sessione di quest'anno è dedicata al tema "Crisi europea: declino o rinnovamento?", nella convinzione che  quello che sta accadendo all’Unione europea in questi ultimi anni abbia poco a che vedere con la crisi economica mondiale e molto con la crisi di un progetto politico  probabilmente  riconducibile all'esigenza della leadership europea di consolidare un assetto sempre più efficiente e accentrato, anche a costo di ... perdere qualche pezzo per strada.

Intervenendo alla sessione di questa mattina dedicata a  "La soglia euro-mediterranea: lavori in corso", ho avuto modo di affermare tra l'altro 

"Giustamente quanto accaduto recentemente a Lampedusa è stato definito una tragedia europea.  Probabilmente si intendeva solamente sottolineare che l’Italia non doveva essere lasciata sola a fronteggiare il problema dell’assistenza ai migranti. Credo invece che quella di Lampedusa possa essere considerata una tragedia europea, perché l’Unione europea ne porta la diretta responsabilità a motivo della sua velleitaria, confusa e ondivaga politica mediterranea. I rapporti con il Mediterraneo hanno infatti sempre rivestito una grande importanza per l’Europa e soprattutto negli ultimi venti anni. Nel 1995 l’Unione Europea prese l’iniziativa di stabilire il Partenariato Euro-Mediterraneo e nel 2004 ha avviato la Politica Europea di Vicinato nella quale fece confluire la prima.  Il Partenariato è stato politicamente bruciato da varie  determinanti, specie dal progressivo deteriorarsi del conflitto israelo-palestinese. La Politica di Vicinato ha finito per frammentare l’idea di partenza di una sorta di comunità regionale in un fascio di  rapporti bilaterali. Nell’insieme, la drammatica fase aperta dall’intervento americano in Iraq e il basso profilo che l’Unione europea ha  mantenuto nei confronti di quegli eventi, mancandole la necessaria coesione politica, ha indebolito e screditato le politiche mediterranee dell’Unione europea. Né l’Unione per il Mediterraneo, con il suo imbarazzante portato di aspirazionismi e protagonismi velleitari, ne ha risollevato le sorti.


      E chi, se non noi qui in Sicilia, deve avviare una nuova riflessione, a partire dal riconoscimento dell’esistenza di quel nesso sottile ma solido che ci lega in una comunanza di destini ai popoli dell’Africa del Nord, oggi ancora alla ricerca di una nuova stagione di diritti e di prosperità? Nesso che ha una sua dimensione ineludibile, proprio con specifico riferimento ai Paesi che si affacciano sul Canale di Sicilia (Libia e  Tunisia, soprattutto) e alle specificità socio-economiche e culturali che caratterizzano quest’area, che rimane di prioritario riferimento per noi. Prova ne sia il fatto che quasi esclusivamente da queste zone si originano i flussi migratori che finiscono sul nostro territorio. O ancora, potremmo ricordare, la singolare forma di integrazione siculo-tunisina che interessa la marineria attiva nell’area della Sicilia occidentale. Ma potremmo pure parlare della costante emarginazione economica e culturale che da decenni si riserva alla Sicilia e che in forme sempre nuove si rinnova. Dunque, nell’interrogarci sulla dimensione della dignità e dei diritti o sugli squilibri economici delle sponde del Mediterraneo, così come sugli inarrestabili movimenti di popolazione, parleremo non solo degli “altri”, ma anche di noi stessi, di un futuro che il comune passato può contribuire a disegnare diverso da come sembrano imporcelo le logiche di una integrazione europea sorda e cieca di fronte a queste urgenze".




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