E' stata inaugurata ieri la XXXI edizione della Cattedra Sturzo, un originale think tank che con una peculiare formula raccoglie ogni anno giovani studiosi e maestri più maturi per riflettere insieme, nello spirito laico ma cristianamente ispirato che fu di Luigi Sturzo, su una questione politica di particolare attualità.
La sessione di quest'anno è dedicata al tema "Crisi europea: declino o rinnovamento?", nella convinzione che quello che sta accadendo all’Unione europea in questi ultimi anni abbia poco a che vedere con la crisi economica mondiale e molto con la crisi di un progetto politico probabilmente riconducibile all'esigenza della leadership europea di consolidare un assetto sempre più efficiente e accentrato, anche a costo di ... perdere qualche pezzo per strada.
Intervenendo alla sessione di questa mattina dedicata a "La soglia euro-mediterranea: lavori in corso", ho avuto modo di affermare tra l'altro
"Giustamente
quanto accaduto recentemente a Lampedusa è stato definito una tragedia
europea. Probabilmente si intendeva
solamente sottolineare che l’Italia non doveva essere lasciata sola a
fronteggiare il problema dell’assistenza ai migranti. Credo invece che quella
di Lampedusa possa essere considerata una tragedia europea, perché l’Unione
europea ne porta la diretta responsabilità a motivo della sua velleitaria, confusa
e ondivaga politica mediterranea. I rapporti con il
Mediterraneo hanno infatti sempre rivestito una grande importanza per l’Europa
e soprattutto negli ultimi venti anni. Nel 1995 l’Unione Europea prese
l’iniziativa di stabilire il Partenariato Euro-Mediterraneo e nel 2004 ha avviato la Politica Europea
di Vicinato nella quale fece confluire la prima. Il Partenariato è stato
politicamente bruciato da varie determinanti,
specie dal progressivo deteriorarsi del conflitto israelo-palestinese. La Politica di Vicinato ha finito per frammentare l’idea di partenza di una sorta di comunità regionale in un fascio di rapporti bilaterali.
Nell’insieme, la drammatica fase aperta dall’intervento americano in Iraq e il
basso profilo che l’Unione europea ha mantenuto nei confronti di quegli eventi,
mancandole la necessaria coesione politica, ha indebolito e screditato le
politiche mediterranee dell’Unione europea. Né l’Unione per il Mediterraneo,
con il suo imbarazzante portato di aspirazionismi e protagonismi velleitari, ne
ha risollevato le sorti.
E chi, se non noi qui in Sicilia, deve
avviare una nuova riflessione, a partire dal riconoscimento dell’esistenza di
quel nesso sottile ma solido che ci lega in una comunanza di destini ai popoli
dell’Africa del Nord, oggi ancora alla ricerca di una nuova stagione di diritti
e di prosperità? Nesso che ha una sua dimensione ineludibile, proprio con
specifico riferimento ai Paesi che si affacciano sul Canale di Sicilia (Libia
e Tunisia, soprattutto) e alle
specificità socio-economiche e culturali che caratterizzano quest’area, che rimane
di prioritario riferimento per noi. Prova ne sia il fatto che quasi esclusivamente
da queste zone si originano i flussi migratori che finiscono sul nostro
territorio. O ancora, potremmo ricordare, la singolare forma di integrazione
siculo-tunisina che interessa la marineria attiva nell’area della Sicilia
occidentale. Ma potremmo pure parlare della costante emarginazione economica e
culturale che da decenni si riserva alla Sicilia e che in forme sempre nuove si
rinnova. Dunque, nell’interrogarci sulla dimensione della dignità e dei diritti
o sugli squilibri economici delle sponde del Mediterraneo, così come sugli
inarrestabili movimenti di popolazione, parleremo non solo degli “altri”, ma
anche di noi stessi, di un futuro che il comune passato può contribuire a
disegnare diverso da come sembrano imporcelo le logiche di una integrazione
europea sorda e cieca di fronte a queste urgenze".
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