di Rosario Sapienza
La decisione è stata accolta in Italia con generale
sollievo, dato che restituisce la questione alla dimensione
politico-diplomatica più propria e adeguata (quella del dialogo tra la
diplomazia italiana e il governo federale di New Dehli, mai venuto meno per la
verità), ma anche con non poche perplessità (Marina Castellaneta ha parlato, su
Il Sole 24 Ore di sabato 19 gennaio, di un vero e proprio “enigma”), dato che,
riconoscendo che il fatto è avvenuto fuori delle acque territoriali indiane, si
nega necessariamente la giurisdizione indiana che cede a fronte di quella dello
Stato di bandiera della nave (cioè l’Italia) come previsto dalla Convenzione
delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, della quale sia l’Italia che
l’India sono parti.
La decisione, sempre per quel che si apprende da fonti di
stampa, ha comunque escluso che ai due marò italiani possa essere riconosciuta
una qualche forma di immunità, benché, come si osserva in Italia da molte
parti, fossero personale militare in servizio per un fine di interesse pubblico
(il contrasto alla pirateria) e dunque veri e propri organi dello Stato
italiano. In questo caso, una norma consuetudinaria riconoscerebbe una immunità cosiddetta
“funzionale” sottraendo dunque chi ne beneficia alla giurisdizione dello Stato eventualmente
competente. Il condizionale è d’obbligo perché in materia è difficile
ricostruire principi inequivoci.
Dunque, da un punto di vista giuridico, la decisione
sembrerebbe non aver mutato il punto di vista della autorità indiane, anche se
rappresenta un fatto indubbiamente positivo che la Corte abbia declinato la
giurisdizione a favore di un organo dello Stato federale. Le autorità italiane
hanno incassato il risultato, esprimendo una moderata e prudente soddisfazione.
A quanti lamentano un presunto eccesso di prudenza da
parte delle autorità italiane va ricordato che il caso in questione coinvolge
importanti e delicati equilibri politico-diplomatici e dunque va affrontato con
adeguata cautela. I fatti si sono svolti
con certezza nella Zona Economica Esclusiva indiana e dunque in una parte di
mare che, anche se per quel che riguarda la giurisdizione penale non può essere assimilata al mare
territoriale, è oggetto di ampi poteri riconosciuti dal diritto internazionale
a tutela dei diritti di pesca. Tutela che le autorità indiane hanno più volte
mostrato di voler esercitare con fermezza, peraltro in linea con una generale
politica da Grande Potenza emergente che può anche esigere a volte una
risolutezza inusuale. L’India ritiene infatti di avere tutto il diritto di
proteggere i propri pescatori anche quando, temendo per le proprie reti
derivanti, affrontano le navi di passaggio con fare minaccioso (cosa che sembra
sia accaduta nel caso di specie, generando l’equivoco).
E' facile ipotizzare che la vicenda, nonostante i suoi indubbi profili giuridici e giudiziari, si chiuderà solo quando le due diplomazie potranno negoziare una soluzione che permetta ad entrambi gli Stati coinvolti una onorevole chiusura del caso.
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